I Condottieri
«Il primo modo per valutare l'intelligenza di un principe è vedere di quali uomini si circonda.»
Niccolò Machiavelli, in "Il Principe", 1532
«Chi ha a comandare a altri non debba avere troppa discrezione o rispetto nel comandare; non dico che debba essere senza essa, ma la molta è nociva.»
Francesco Guicciardini, in "La Historia d'Italia", 1537
Durante il periodo medievale, la situazione politica della penisola italiana vedeva un intricato e frammentato panorama di numerosi Stati spesso in guerra tra loro. Fu questo il periodo che vide la nascita delle cosiddette “città-stato”, supportate dal rispettivo contado, cioé dal territorio rurale ed agricolo sul quale un comune esercitava il proprio controllo, con a capo quelle potenti famiglie nobiliari che avrebbero in futuro segnato la storia d’Italia. All’interno di questi comuni avvennero grandi cambiamenti sociali nei rispettivi sistemi militari tanto da richiedere nel tempo l’impiego sempre più massiccio di mercenari, sia per difendere le proprie mura sia per salvaguardare l’incolumità dei centri abitati sottomessi nel territorio amministrato. Come nel tempo la vita politica di tali città divenne sempre più problematica per via della lotta tra varie fazioni, si dimostrò sempre più necessario affidare la propria difesa ad una figura esterna ed allo stesso tempo a disarmare la popolazione. L’inizio di questo processo vide l’impiego di una persona al di fuori dalla realtà locale per governare l’amministrazione di tali luoghi, in quanto non coinvolto in alcuna trama politica. Questa figura prese il nome di podestà.
La fioritura dei commerci e dell’artigianato permise anche ai ricchi mercanti ed artigiani di scalare rapidamente i vertici del potere comunale. Ciò avvenne nel corso del XII secolo, quando i ceti economicamente emergenti pretesero progressivamente una più ampia partecipazione politica. Il mutamento fu non di rado contrassegnato da aspri conflitti sociali: i nobili erano restii a cedere il potere nelle mani dei nuovi ricchi, ma il processo era inevitabile, perché la ricchezza e il potere di un comune passavano necessariamente per le mani dei mercanti e degli artigiani, i quali accumulavano ricchezze con la loro intraprendenza e i cui interessi, ovviamente, non coincidevano con quelli della nobiltà, formata da proprietari terrieri. La lotta fra nobiltà e borghesia commerciale costituì una delle dinamiche storiche più importanti nella turbolenta vita comunale. In seguito a questi contrasti, la figura politica del podestà si sostituì o si affiancò a quella del consiglio dei consoli, che governava i comuni medievali.
Per la medesima ragione, anche per il corpo di guardia del podestà venne reclutato da persone esterne all’ambiente locale, e fu questo fattore a dare l’avvio alla formazione di gruppi mercenari al soldo dell’autorità cittadina per arrivare fino alla nascita dei condottieri, ed allo stesso tempo alla progressiva diminuzione dell’uso della milizia cittadina. Sempre l’aumento esponenziale di mercenari stranieri, assieme al conferimento autoritario affidato ad un unico individuo, permise di soddisfare le ambizioni di taluni individui i quali, approfittando di queste situazioni di incertezza, diedero vita alle proprie dinastie e presero il nome di signori. Costoro fecero un grande uso di gruppi mercenari non solo per difendere il proprio territorio ma anche per controllare meglio la popolazione locale.
L’Italia all’alba del XV secolo non era solamente il paese europeo più ricco economicamente ma anche quello più disunito in quanto costellato da innumerevoli Stati e staterelli, il che diede terreno fertile a tutti quei mercenari desiderosi di realizzare le proprie più intime ambizioni, potendo così vendere al miglior offerente le proprie prestazioni militari approfittando di una situazione politica che vedeva tutti questi territori in continuo conflitto tra loro. Questo intreccio di fattori politici, economici e militari portarono alla creazione di potenti gruppi di soldati mercenari conosciuti con il nome di condottieri. Il termine condottiero deriva dal termine condotta, cioè da quel contratto che sta alla base di un accordo scritto che vincolava un gruppo di mercenari allo Stato che li impiegava. Sebbene oggigiorno tale parola la si usi principalmente per riferirsi alla figura guida di un gruppo di uomini d’arme, in realtà qualsiasi mercenario che stipuli un contratto andrebbe considerato come un condottiero.
Il sistema che mise in piedi l’impiego di condottieri ebbe la sua genesi nel XIII secolo quando un sempre più crescente numero di truppe straniere attraversarono le Alpi per giungere in Italia in cerca di un nuovo impiego. L’apice ci fu nel 1360, alla conclusione della prima fase della Guerra dei Cent’Anni tra Francia ed Inghilterra. Da quel momento la penisola italiana non vide più la presenza di soli tedeschi, francesi, catalani e svizzeri come mercenari della prima ora, alcuni dei quali scrissero pagine importanti della storia d’Italia (come furono le imprese di Guarnieri d’Urslingen di Svevia), con l’unica eccezione italiana nelle vesti del lucchese Castruccio Castracane, ma in questa decade un grande numero di inglesi cominciarono a riversarsi nella penisola desiderosi di mettere le proprie competenze al servizio di qualche signore italiano.
In sostanza il sistema con cui si assoldavano i condottieri era definito da una elaborata pratica di contratti legali con cui si “acquistavano” intere truppe di mercenari. Tale sofisticatezza portò ad una evoluzione del sistema militare che fu esempio unico esclusivamente in Italia. Ovviamente definire la figura del condottiero alla stregua di un mercenario che prestava servizio dietro compenso è una cosa estremamente semplicistica e non degna di un accurato riscontro storico. Il condottiero era innanzitutto un professionista militare a tutto tondo impegnato a servire il suo datore di lavoro senza alcuna considerazione su quale fosse la sua nazionalità, la sua ideologia o le sue alleanze politiche del momento.
In una fase storica così economicamente florida per l’Italia, non deve sorprendere che i contratti che intercorrevano tra il signore locale ed il condottiero risultassero estremamente intricati e pieni di clausole atte a normare ogni minimo aspetto di ciò che può essere definito come un vero e proprio contratto di lavoro. Le questioni da specificare prima che il rapporto tra condottiero e signore potesse iniziare erano la durata del servizio prestato ed eventuali proporoghe, le tempistiche delle vettovaglie, l’attrezzatura militare e civile impiegata, l’indennizzo in caso di infortuni gravi, e così via. Solitamente in caso di saccheggi in territorio nemico vi era l’eccezione di una regola non scritta che vedeva il materiale depredato finire in mano alle stesse truppe mercenarie, alla stregua di un premio extra, al contrario strutture immobili come fortificazioni e castelli diventavano invece di proprietà al signore.
Tecnicamente parlando, praticamente tutti i condottieri erano persone addestrate nell’Arte delle Armi. La loro abilità militare e la loro esperienza sul campo li aveva resi utili per soddisfare le richieste dei signori, i quali pensarono che fosse economicamente più conveniente assoldare queste figure già preparate alla guerra piuttosto che addestrare da zero truppe proprie. Questo fu soprattutto vero nella prima metà del XIV secolo in quanto molti di questi soldati erano veterani della Guerra dei Cent’Anni. Ciascuno di loro, indipendentemente che fosse capace di combattere a cavallo, a piedi, tirare di arco o di balestra, era in grado di ricoprire il proprio ruolo e di prestare cura alle proprie armi ed armature. E tanto bastava.
Dove i signori preferirono assoldare gruppi di armigeri già in possesso della dovuta esperienza, allo stesso tempo all’interno dei medesimi gruppi mercenari vi era la possibilità per dei ragazzi alle prime armi di entrare a farne parte. Questi giovani presero il nome di scudieri o paggi, e cominciarono la propria carriera al servizio di qualche uomo d’arme più anziano aiutandolo nelle più piccole mansioni. Mano mano che questi ragazzi assecondavano il condottiero in ogni aspetto, in realtà acquisivano esperienza nel mestiere delle armi. Ma non tutti erano destinati a diventare cavalieri a loro volta. Alcuni si sarebbero specializzati nell’uso delle armi da tiro o delle armi da fuoco, a seconda delle proprie inclinazioni o della necessità di gruppo.
Ad ogni modo con la fine del XV secolo la dorata epopea dei condottieri cominciava ad eclissarsi. Quando nel 1494 l’esercito francese di Carlo VIII invase la penisola italiana dando inizio a quella lunga serie di conflitti conosciuti come le Guerre d’Italia, i condottieri italiani poterono fare ben poco contro un’armata così imponente ed inquadrata, quasi a simboleggiare sul campo di battaglia l’inconcludenza politica di una penisola talmente frammentata, incapace ormai di resistere contro uno Stato che poteva vantare un esercito di spessore nazionale. La fine di questa meravigliosa era ebbe la sua conclusione per via delle nuove armi e delle nuove strategie di guerra che ormai cominciarono ad imperversare sui campi di battaglia. La fanteria divenne sempre più specializzata e risolutiva, e le armi da fuoco sempre più efficienti e mortali.
Quasi a incarnare la definitiva conclusione dei condottieri per mano del nuovo che avanzava inarrestabilmente, è necessario ricordare quanto avvenne al condottiero Ludovico di Giovanni de’ Medici, conosciuto per lo più come Giovanni dalle Bande Nere, soprannominato anche come “il Gran Diavolo”, “l’Invincibile”, il cardinal Salviati disse di lui:«Faceva più danno alli inimici lui solo che tucto lo exercito.» Il de’ Medici nel gelido inverno del 1526, sulle sponde del fiume Mincio, si scontrò in quel di Mantova al seguito delle sue truppe contro le armate lanzichenecche di Carlo V capeggiate dal generale Georg von Frundsberg, quest’ultimi impegnati a scorazzare attraverso l’Italia in direzione di Roma per minacciare lo Stato pontificio. Una volta trovate le forze tedesche, e non appena lanciata la carica, il de’ Medici cadde vittima di una imboscata venendo colpito di sorpresa da un colpo di falconetto alla sua gamba destra, arrecandogli una gravissima ferita. Il noto storico Francesco Guicciardini scrisse a riguardo:
«/...Giovanni de' Medici co' cavalli leggieri; e accostatosi più arditamente perché non sapeva che avessino avute artiglierie, avendo essi dato fuoco a uno de' falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al ginocchio a Giovanni de' Medici; del quale colpo, essendo stato portato a Mantova, morì pochi dì poi.../»
Trasportato a Mantova, fu assistito nel palazzo di Aloisio Gonzaga, ma sfortunatamente la ferita andò in cancrena ragion per cui si dimostrò necessaria l’amputazione della gamba destra ferita. Nonostante l’operazione portata a termine, morì comunque il successivo 30 novembre 1526. Da quel momento i Lanzichenecchi non trovarono più alcun ostacolo nel loro tragitto verso la città eterna, arrecando enormi danni nel famoso Sacco di Roma del 6 maggio 1527.
La morte di Giovanni dalle Bande Nere non segnò solamente la fine della fulgida epoca dei condottieri, ma di riflesso, anche la perdita di sovranità politica da parte della stragrande maggioranza degli Stati italiani ormai incapaci di resistere alle forze straniere durante le laceranti Guerre d’Italia. Perdita che verrà riacquisita solamente molti secoli dopo con il Risorgimento.