Ars Historica SSD

L'arte delle Armi

«Ben che la disciplina & arte militare a molti strenui cavallieri e magnanimi combattitori sia nota apertamente e chiara, pure a molti valentissimi della persona per la imperitia loro ascosa se ritrova. Onde alcune volte, nel parlare o ne l’operare de l’armi, per ignorantia e non per malitia mancano: et vedendo alcuno di questi errori molte fiate occorrere, per volere questi trasgressi evitare, più per pietà et amore, che alla virtù loro io porto, che da gloria alcuna suspinto & incitato, io me sono amorevolmente mosso l’ingegno e l’arte mia excitando per avvertire questi tali audaci combattitori acciocchè giustificatamente piglino l’arme.»

Durante tutto il periodo medievale e rinascimentale la penisola italiana è stata indubbiamente la culla di numerosi e valenti Maestri d’arme, alcuni dei quali, soprattutto verso la fine del XVI secolo, trovarono la fortuna in numerose corti europee. E’ probabile che la diffusione e la codifica di queste conoscenze avvennero all’interno degli ambienti cittadini, visto che gli statuti comunali regolamentarono apertamente i giorni ed i luoghi di addestramento per la fanteria popolare. Per questa ragione l’uso della spada accompagnata al brocchiere sembra essere stata la più diffusa, in modo da istruire la persona all’utilizzo di ogni tipologia di scudo.

Già antecedentemente alla compilazione dei primi manoscritti di scherma finora a noi giunti, alcune aree di Italia videro la presenza e l’affermazione di molti maestri d’arme, per lo più autoctoni con qualche eccezione straniera. Ma per comprendere quel filo rosso tradizionale che conduce agli insegnamenti esposti da Achille Marozzo nel suo trattato, dobbiamo partire dal fondatore della scuola: Filippo Bartolomeo Dardi. 

Il Maestro Filippo di Bartolomeo Dardi fu un astrologo e matematico bolognese. Abitò e tenne una Sala d’armi nella parrocchia di S. Cristina di Porta Stiera, attualmente sita in via Pietralata. Fu eletto ad una cattedra di geometria presso l’università di Bologna, dove insegnò tra il 1443 e il 1463 e scrisse un saggio ora perduto sulla relazione tra scherma e geometria tra il 1413 e il 1443, data in cui presenta la petizione al reggimento bolognese per l’ottenimento del lettorato in geometria. Questo Maestro letterato morì nel 1464 lasciando l’eredità di tali insegnamenti al Maestro Guido Antonio di Luca.

Il Maestro Guido Antonio di Luca rappresenta sicuramente il più importante promulgatore degli insegnamenti tramandati dal Maestro Filippo Bartolomeo Dardi. Egli trascorse grossa parte della sua vita nella Parrocchia di Santa Maria delle Muratelle, attualmente sita in Via Saragozza, e fu un protetto della potente famiglia bolognese dei Bentivoglio. Sebbene di lui, pare, non vi siano manoscritti od opere di suo pugno, ebbe di certo il privilegio di aver contribuito alla formazione nell’Arte delle Armi di importanti condottieri italiani come il conte Guido Antonio Rangoni e Ludovico de’ Medici (conosciuto ai più anche come Giovanni dalle Bande Nere); insieme ad importanti studenti, poi diventati maestri, tra cui il nostro Achille Marozzo e probabilmente Antonio Manciolino. E’ Marozzo stesso, nella prefazione del suo libro, a parlare della fama della sua scuola equiparandola ad un Cavallo di Troia da cui sono usciti innumerevoli e valevoli combattenti. Morì a Bologna nel 1514.

Visto quanto, non deve stupire come in Italia l’arte della guerra in epoca rinascimentale sia il frutto di una tradizione secolare provieniente non solo dal medioevo ma anche da epoche ben più antiche. Epoche le cui forme di combattimento vedremo proprio ritornare culturalmente alla ribalta in questo momento storico. La formazione dei cittadini, impegnati in prima persona alla difesa della propria comunità, era una delle tante mansioni intraprese dai Maestri d’arme. Non deve stupire come lo stesso Maestro Filippo Bartolomeo Dardi, fondatore di quella “scuola” da cui attingerà a piene mani lo stesso Marozzo due generazioni dopo, fosse stato assoldato dal governo della città di Bologna proprio per tale compito.

Come viene evidenziato nel trattato “Disciplina Militare” mandato alle stampe nel 1572 dal Caval. Aurelio Cicuta, la formazione marziale della gioventù nelle città italiane doveva risultare estremamente impegnativa al pari di quanto non dovesse trascurare alcun aspetto sulla conduzione di una guerra:

«Onde ricordo alle città che debbano tener de maestri, che sappiano giuocar d'armi, e insegnar, dando loro honesto stipendio, accioché la oziosa gioventù piuttosto che starsi accidiosa, si avezzi con gli armigeri giuochi finti di scrima a maneggiare spade, pugnali, rotelle, brocchieri, picche, alabarde, con ogni altra sorte d'armi inastate, maneggiar archibugi, trombe di fuoco, componer investigando varie sorti di fuochi misturati, tirar d'artiglieria, d'archi, di balestre, di fronda, dilettarsi di varie machine belliche inventandole, far ponti da passar fiumi e altre simili martiali industrie, assuefarsi al noto, essendo vicini al mare, e a fiumi perciochè è cosa profittevole il saperlo, & necessaria al soldato, avezzarsi a cavallo nel montarvi, & dismontarvi con destra leggierezza, sì armato, come disarmato, non in atto di saltarini, che per uso della guerra non accade d'essere maestro di quei tanti saltarelli giuocolari, assuefarsi dentro l'armi, con la buffa calata, & durarvi dentro quanto più può, esercitandosi, & affaticandosi in esse, sì a piedi, come a cavallo, così con lancia, come con stocco, & mazza, & con gli archibusetti ad uso d'Alemagna, & in altri honorati esercizi militari: & questo sia detto in servigio dei Principi, per ritrovarsi essi al bisogno, occorrendo con i suoi cittadini soldati, assuefatti all'armi, per opporsi contra 'l nimico con maggior fede, che nei soldati forastieri.»

I decenni a cavallo tra la fine del XV e il XVI secolo rappresentano un passaggio storico tale da aver visto enormi cambiamenti nell’arte della guerra, tanto da riuscire a stravolgerne gli equilibri e le strutture sociali, e quindi belliche, che ormai si erano andate a definire nei secoli. Quanto avvenne è possibile definirla come una vera e propria “rivoluzione militare” nata dall’introduzione sempre più incisiva delle armi da fuoco e dal sempre maggiore ruolo dato alle fanterie sui campi di battaglia, in grado ora di formare una barriera insuperabile di picche e di tiratori con armi a distanza, tanto da scalzare il ruolo di protagonista alla cavalleria pesante. Nel giro di poco tempo secolari certezze consolidate vennero spazzate via come se nulla fosse, e questo rese necessario rivedere il percorso formativo e professionale dei militari per meglio prepararli al nuovo volto della guerra moderna.

L’umiliazione che subì la cavalleria pesante per mano della disciplinata e militarmente inquadrata fanteria svizzera armata di picche la cui lunghezza permetteva di frenare l’impeto della carica e scompaginarne le schiere, assieme al devastante strapotere delle armi da fuoco tanto detestate da quel Ludovico Ariosto che le definì “armi diaboliche”, costrinsero la figura del cavaliere di estrazione nobiliare a rivedere l’idea di guerra a cui finora si era affidato ed idealmente aggrappato, che lo vedono ora scendere da cavallo e combattere alla stregua di un fante qualunque. Tale cambiamento non fu affatto facile da far digerire, ragion per cui si sarebbe dimostrato più utile lavorare sulle nuove generazioni. E così al giovane aristocratico non venne più solamente richiesto di saper cavalcare e combattere con un’arma in mano, ma divenne necessario per lui saper leggere in modo da essere in grado di interpretare gli ordini scritti e saper far di conto in modo da gestire i reparti a lui affidati. Si dimostrarono utili anche ulteriori conoscenze su materie come filosofia, geometria e storia, il che resero queste figure guerriere dei personaggi a tutto tondo.

In assenza di luoghi specifici per la formazione dei nuovi cavalieri, come saranno successivamente le accademie militari, i giovani nobili acquisivano esperienza nell’arte della guerra direttamente sui campi di battaglia al seguito di un alto ufficiale al comando di un esercito. Ma non solo. Divenne anche di vitale importanza la lettura di manuali e libri dedicati a tutti quegli argomenti tecnici utili in guerra. Non deve stupire che proprio nei primi decenni del Cinquecento vi fu un vero e proprio proliferare di pubblicazioni sull’arte militare, tra cui lo svilluppo e l’impiego dell’artiglieria, nuove tecniche fortificatorie per edificare strutture che non si dimostrassero facili bersagli ai tiri del nemico, la padronanza della matematica utile per la balistica, oltre che il consueto saper duellare e cavalcare, rimasti comunque fondamentali per la formazione del giovane che si dava al mestiere delle armi.

Non meno importanti furono i saggi storici. Spetta proprio alla materia storica il primato di testi pubblicati, tra cui ebbero grande riscontro la riscoperta di classici latini e greci assieme alla memorialistica delle guerre dell’antichità, con la finalità di trarne ispirazione anche dopo tanti secoli in relazione alle guerre contemporanee. Lo studio dei conflitti e l’esempio che si poteva trarre dai grandi personaggi del periodo classicocveniva considerato necessario all’educazione dei giovani nobili impegnati nell’arte della guerra. Non deve stupire, quindi, proprio come Achille Marozzo stesso tratti forme di combattimento ormai dimenticate ma ritornate prepotentemente in auge, tanto da definirle lui stesso come delle nuove usanze:

«Qui mi son disposto di componere in questo un combatter novo, attrovato di fantasia bona, di partesana e rotella insieme contra a un altro che havesse le medesime arme, e imperò per questo cominciaremo al nome di Dio a dargli principio alla prima parte di questo sopradetto.../»

Il combattere con una lancia accompagnata alla rotella a cui Marozzo si sta riferendo sicuramente era una forma ricercata da chi subì il fascino delle imprese degli opliti greci, come potevano essere gli spartani di Leonida contro i persiani nell’impossibile impresa delle Termopili (lo stesso fascino che abbiamo tutti noi subito in tempi recenti), oppure di chi si immedesimò nel mito di quel giovane descritto nell’Iliade, ammirato dalle divinità greche che, consapevoli del destino che lo attendeva, gli chiedesero se preferisse vivere a lungo ma senza gloria, o avere una vita breve e ricca di imprese: il giovane scelse l’ultima e il suo destino fu così segnato. Tale giovane prende il nome di Achille, eroe delle guerre troiane. 

Ma queste forme di combattimento furono presenti anche nella gladiatura, quando i romani ebbero conquistato la zona orientale di lingua greca del mar Mediterraneo, la figura del gladiatore Hoplomachus iniziò a diffondersi prendendo spunto da una rudimentale pratica schermistica, l’Hoplomachia (dal greco ὁπλομαχία, “lotta con armi pesanti”) praticata con lancia o con la spada da abbinarsi allo scudo e assai diffusa nella Grecia ellenistica. Nel trattato “Opera Nova” di Marozzo oltre alla pratica della lancia e della spada da affiancare allo scudo tondo, compaiono il combattimento con spada e targone ed il combattimento con due spade gemelle. Anche queste nuove forme di combattimento potrebbero trovare la propria ispirazione dal periodo classico, con le figure gladiatorie del Mirmillone e del Dimachaerus.

Ad ogni modo l’Arte delle Armi non presenta richiami al solo all’antichità, ma anche inevitabilmente una tradizione diretta al medioevo. L’uso del brocchiere come strumento formativo e da duello, così come lo spadone, l’alabarda, la picca ed altre armi in asta sono dei chiari richiami ai due secoli precedenti. 

Non meno importante è la difesa personale contro un’aggressione da strada, che vede non solo la spada ma anche il coinvolgimento del pugnale e della cappa come extrema ratio.

Quello che noi pratichiamo, quindi, va considerato come un patrimonio marziale e culturale italiano, che è nato, sviluppato ed evoluto nella nostra penisola. Dove oggigiorno in altri paesi per lo più legati al mondo orientale, l’equivalente autoctono della nostra disciplina viene salvaguardato ed incentivato persino statalmente con la pratica tra i giovani negli sport scolastici, così come tra la popolazione con la cultura di massa, sfortunatamente questo non avviene in Italia, che invece subisce ancora fortemente le influenze delle arti marziali orientali ignorando del tutto le proprie. Ci piace credere che chi pratica con noi voglia farsi promotore di questa idea, cioè difendere e diffondere la cultura legata all’Arte delle Armi, quindi all’arte marziale italiana, in quanto equivale né più e né meno a restaurare un dipinto del Caravaggio, provvedere alla manutenzione di una scultura del Michelangelo, conoscere i versi dell’Ariosto, oltre che a farsi promotore di quanto di meglio l’Italia nella sua storia millenaria è riuscita a contribuire all’evoluzione della civiltà occidentale per come la conosciamo.

E’ necessario quindi, nel tentativo di riportare in auge una tradizione marziale andata sfortunatamente interrotta, prendere a piene mani dalla sapienza diretta dei maestri d’arme del tempo. I metodi di studio e di pratica del trattato “Opera Nova” consistono nell’applicazione degli Assalti e dei principi in essi contenuti come esposti dal Maestro Achille Marozzo. Gli Abbattimenti e gli Assalti indirizzano il neofita alla comprensione della scherma, e ne modellano, potenziano e correggono il corpo, migliorando la coordinazione anche a chi ha difficoltà motorie. La ricerca del gesto, della sua pulizia, e della ragione che dietro ad essa si cela, è finalizzata sia al combattimento individuale con l’utilizzo di riproduzioni fedeli di armi bianche sprovviste di filo e punta ed indossando protezioni idonee contro un avversario non collaborativo, sia all’utilizzo di forme indirizzato anche in campo scenico e teatrale. 

Campagna iscrizioni 23/24

Anche quest’anno sono aperte ufficialmente le iscrizioni per l’anno accademico di scherma storica. Se sei interessato a parlare con uno degli istruttori per l’open day scrivici in direct tramite i nostri social che trovi di seguito!