Ars Historica SSD

Le Guerre d'Italia

«Innanzi al 1494 erano le guerre lunghe, le giornate non sanguinose, e modi dello espugnare terre lenti e difficili; e se bene erano già in uso le artiglierie, si maneggiavano con sì poca attitudine che non offendevano molto; in modo che, chi aveva uno stato, era quasi impossibile lo perdessi.»

Le Guerre d’Italia furono una serie di conflitti combattuti prevalentemente sul suolo italiano tra la fine del XV e nella prima metà del XVI secolo aventi come obiettivo finale la supremazia politica in Europa. Furono inizialmente scatenate da alcuni sovrani francesi, che inviarono nella penisola italiana le loro truppe per far valere i loro diritti ereditari sul Regno di Napoli e poi sul Ducato di Milano. Inizialmente locali, le guerre divennero in breve tempo di scala europea, coinvolgendo, oltre alla Francia anche la maggior parte degli Stati italiani, il Sacro Romano Impero, la Spagna, l’Inghilterra ed infine il sempre più minaccioso Impero Ottomano. 

Per la loro rilevante durata, e l’ampio coinvolgimento di forze militari, le Guerre d’Italia rappresentarono una specie di cruento laboratorio a cielo aperto in cui mettere alla prova nuove armi e tecniche di combattimento. Secondo Niccolò Machiavelli la discesa di Carlo VIII segnò un punto di svolta rispetto al passato, avviando una fase di scontri piú serrati, rovinosi e violenti, ben diversi dalle consuete lunghe campagne militari inframmezzate da trattative diplomatiche, che ne attenuavano la conflittualità. La guerra divenne qualcosa di autonomo dalla politica, dalla diplomazia, dall’arte dell’intrigo, dall’esibizione del potere principesco in cui eccellevano i signori italiani. Acutamente notava Machiavelli nel suo “L’Arte della Guerra” che i principi italiani, prima di avere subíto i colpi delle guerre portate d’Oltralpe, erano convinti che per affermarsi sulla scena politica fosse sufficiente, nel chiuso del proprio studio, «/…pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare nei detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude, ornarsi di gemme e d’oro». In poche parole: fare una vita splendida, governare in modo dispotico i sudditi, distribuire incarichi militari come favori. Ma invece:«Né si accorgevano i meschini che si preparavano a essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero poi nel mille quattrocento novantaquattro i grandi spaventi, le súbite fughe e le miracolose perdite».

Analoga valutazione dava Francesco Guicciardini, attento osservatore dei fenomeni politico-militari del suo tempo, il quale affermava che prima del 1494 le guerre andavano in genere per le lunghe e tendevano di fatto a non provocare eccessivi danni, perché anche quando si faceva ricorso alle artiglierie la loro tecnica primitiva e la scarsa perizia con cui erano usate le rendeva poco offensive. Allora i sovrani non dovevano temere di perdere i propri Stati a causa dei rovesci militari. Con la calata dei francesi le guerre acquistarono un ritmo e un vigore nuovi, tanto che per alcuni anni, fino al 1521, chi perdeva sul campo militare perdeva lo Stato. Ma un ulteriore mutamento si verificò nel 1522, quando, nel corso dello scontro franco-asburgico, le truppe imperiali sotto il comando di Prospero Colonna (1452-1523), nei pressi di Milano riuscirono a sconfiggere, con un massiccio uso di armi da fuoco, i mercenari svizzeri assoldati dal re di Francia. Un nuovo schema tattico basato sulla difesa – quattro file di archibugeri spagnoli dietro un profondo fossato – aveva rotto la forza d’urto del quadrato svizzero all’attacco, investendolo con una pioggia di fuoco. 

Ad ogni modo, nelle prime fasi della guerra, ciò che permise ai francesi di farsi largo con una certa facilità tra le maglie dei vari Stati italiani fu la morte, nel 1492, di Lorenzo de’ Medici, e con egli la fine della Lega Italica che aveva assicurato la pace nella penisola per 40 anni. Questa unione di intenti, alla quale aderirono i vari Stati italiani sancì il reciproco aiuto in caso di attacco all’integrità di uno degli stati membri ed una tregua venticinquennale fra le potenze italiane che si impegnarono a rispettare i confini stabiliti. Questo accordo nacque dalla constatazione che nessuno degli Stati regionali italiani, nonostante le lunghe e sanguinose guerre combattute negli ultimi cento anni, fosse in grado di assumere l’egemonia nel nord, tantomeno nell’intera penisola. La Lega sancisce dunque un equilibrio bloccato, fondato più sul sospetto che sul rispetto reciproco e sul timore della Francia anziché sulla collaborazione per la formazione di una struttura statale più ampia. A differenza di Francia, Spagna ed Inghilterra, l’Italia non riesce a svilupparsi in uno Stato nazionale, divenendo così terra di conquista per le potenze europee. Solamente la Repubblica di Venezia riuscirà a conservare la propria indipendenza. Questo fenomeno è stato addebitato a numerosi fattori. Per citare le interpretazioni più note, Guicciardini ne ha visto la causa nel particolarismo, Machiavelli nella decadenza morale e civile delle istituzioni e dei costumi nonché nella presenza dello Stato Pontificio. 

L’inizio di quella serie di conflitti che darà il via alle Guerre d’Italia avviene nel 1494, quando Carlo VIII re di Francia decise di scendere con le sue truppe in Italia andando ad occupare il Regno di Napoli sulla base di una rivendicazione dinastica. Tuttavia, venne costretto ad abbandonare i territori occupati dopo la formazione di una Lega anti-francese (a cui aderirono Venezia, Milano, il Pontefice, la Spagna, l’Inghilterra, e Massimiliano d’Asburgo). L’esercito messo in campo dalla Lega non riuscì, nella battaglia di Fornovo, a sbarrare il passo alle forze di Carlo VIII nella loro risalita verso il Piemonte e la Francia. Re Carlo riuscì comunque a ritornare in patria senza però mantenere le conquiste territoriali, ma per l’Italia le conseguenze furono comunque catastrofiche. Ora tutti gli altri Stati europei erano al corrente che l’Italia era una terra incredibilmente ricca e ed allo stesso tempo facilmente conquistabile perché divisa e difesa soltanto da mercenari. 

Le mire espansionistiche dei regnanti francesi successivi a Carlo VIII non verranno meno, scatenando altre guerre sulla penisola italiana, senza ottenere nuovamente alcun risultato politico. Nel frattempo Carlo V d’Asburgo, succeduto al regno di Spagna dal nonno Ferdinando d’Aragona, entra in scena come erede ed Imperatore del Sacro Romano Impero, dominando su un vastissimo territorio, compresi anche tutti i nuovi possedimenti del nuovo mondo in possesso della Spagna. Una tale concentrazione di forza nelle mani di un solo sovrano, prodotta, oltre che dal caso, soprattutto da un’accurata politica matrimoniale e dinastica, è la principale ragione che porta alla rottura politica con la Francia.

In particolare questa situazione pone Francesco I, in una situazione complicata, ritrovandosi praticamente circondato da territori detenuti dalla dinastia d’Asburgo. Infatti il re francese, dopo aver vanamente conteso la corona imperiale a Carlo V, è preoccupato dall’eccessiva potenza raggiunta dal rivale spagnolo, che con la sua elezione è quasi riuscito a saldare i domini imperiali con quelli mediterranei, in funzione antifrancese. Non pago, il sovrano spagnolo avanza inoltre pretese dinastiche sulla Borgogna, che i francesi avevano sottratto agli Asburgo nel 1477. Ma, ancora una volta, è l’Italia a rappresentare la maggior causa di conflitto; infatti la Lombardia, ora in mano francese, impedisce la realizzazione di una maggiore continuità territoriale dei domini asburgici a livello europeo, che dal Meridione italiano arrivano alle pianure delle Fiandre e al cuore della Germania.

Il deterioramento delle relazioni tra gli Asburgo e la Francia fu dunque il pretesto per Francesco I di pensare ad una guerra contro Carlo V. Il re francese vantava un’alleanza con papa Leone X, tuttavia, ora che aveva fortemente bisogno di lui per iniziare le operazioni belliche, il pontefice decise di improvvisamente di stipulare una pace con l’Imperatore e si schierò con il Sacro Romano Impero. A peggiorare le cose, Enrico VIII d’Inghilterra si unì al papa e all’Imperatore nella loro guerra contro la Francia.

Nel 1519 l’invasione spagnola della Navarra, un piccolo regno transpirenaico, detenuto da una dinastia d’origine francese, fa precipitare la situazione. Perciò nel 1521 le armate francesi scendono ancora in Italia, con lo scopo di togliere almeno il Regno di Napoli ai domini dell’imperatore asburgico. Intanto l’esercito papale filo-imperiale guidato da Prospero Colonna e il Marchese di Pescara prese Milano e la restituì a Francesco Sforza. I francesi accusarono durissime sconfitte nella battaglia della Bicocca, il 27 aprile 1522, e nella battaglia di Romagnano del 30 aprile 1524. Con Milano nelle mani dell’Impero, Francesco guidò personalmente l’esercito in Lombardia dove venne definitivamente sconfitto e catturato il 24 febbraio 1525 nella sanguinosa battaglia di Pavia. Condotto come prigioniero in Spagna, il re francese dovette rassegnarsi per ottenere la libertà a firmare il trattato di Madrid, per lui molto oneroso, con il quale venne costretto, tra le altre cose, a rinunciare alle sue pretese in Italia, nelle Fiandre e in Borgogna. 

Gli stati italiani, nel timore di un’eccessiva egemonia asburgica in seguito alla sconfitta dei francesi e al trattato di Madrid, si avvicinano a Francesco I che, ottenuta la libertà dopo la cattività di Madrid, ha dichiarato nulla la pace stipulata con Carlo V. Nel 1526 il papa Clemente VII della famiglia de Medici, anch’egli allarmato per la grande ascesa della potenza di Carlo V, si fa dunque promotore della Lega di Cognac, assieme a Francesco I di Francia, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Firenze e altri stati italiani minori. Ma anche questo patto, che non riesce a essere uno strumento di pressione diplomatica e di intervento militare, si dimostra un’alleanza fragile e precaria. 

La Lega pianificò l’inizio delle ostilità per i primi mesi del 1526 sfruttando un periodo non facile per gli imperiali che accusavano diserzioni tra le loro truppe mercenarie malcontente per non aver più ricevuto i pagamenti per i loro servigi. Tuttavia, i comandanti della Lega dovettero ritardare l’attacco poiché erano in attesa di essere raggiunti da truppe mercenarie svizzere che avevano da poco assunto. Nel frattempo, le truppe veneziane comandate dal duca di Urbino marciavano verso ovest attraverso il nord Italia per unirsi alle truppe papali loro alleate. Lungo la strada, scoprirono una rivolta accaduta a Lodi, una città sotto il dominio visconteo, e seppero che un capitano di fanteria insoddisfatto era disposto ad aprire loro le porte della città. Di conseguenza, i veneziani riuscirono, il 24 giugno, ad occuparla senza particolari difficoltà. 

Nel giugno del 1526, Ugo di Moncada, comandante delle forze imperiali in Italia, fu inviato come ambasciatore dall’imperatore a papa Clemente VII in Vaticano. Il suo messaggio era che se lo Stato Pontificio si fosse alleato con i francesi, l’Impero avrebbe cercato di sollevare le città di Siena e Colonna contro il papato stesso. Papa Clemente VII riconobbe ciò come una seria minaccia e di conseguenza si ritirò dalle Lega proprio nel momento in cui l’esercito francese entrava in Lombardia.

All’improvviso la Lega iniziò dunque a crollare. Venezia, che ancora ricordava le grandi perdite accusate nei suoi domini di terraferma durante i conflitti avvenuti tra il 1509 e il 1516, decise di cessare qualsiasi coinvolgimento diretto nelle guerre italiane. L’esercito francese, rendendosi conto che il loro obiettivo di riconquistare Milano non era più fattibile, lasciò la Lombardia e tornò in Francia. Così, con il ritiro delle forze francesi e prima che la guerra entrasse nel vivo accadde un episodio clamoroso, destinato a scuotere tutta l’Europa. Nel maggio del 1527 i Lanzichenecchi, soldati imperiali, per la maggior parte mercenari tedeschi di fede luterana, rimasti senza paga e poi senza comandante, riescono ad aggirare le truppe della Lega, nell’Italia del nord, e decidono di attaccare Roma. Circa dodicimila lanzichenecchi riescono a penetrare nell’Italia centrale, attaccano la città santa, penetrano nelle mura, compiendo un terribile saccheggio, nel corso del quale, il papa stesso è costretto a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo e infine a fare pace con Carlo V. Di fronte a una tale disfatta il papa ottiene perlomeno dall’imperatore il restauro del dominio dei Medici a Firenze.

Contemporaneamente l’esercito francese aprì le ostilità vere e proprie, sotto la guida del generale Odet de Foix. Foix prese Genova, riconsegnò Milano agli Sforza e si rimise in marcia verso Napoli arrivando a cingere, nell’estate seguente, in assedio la città. Durante le operazioni trovò la morte ad Aversa a causa di un’epidemia di peste che decimò anche l’esercito francese mettendo fine all’impresa. In questo frangente infatti, le comuni difficoltà finanziarie dei contendenti e il minaccioso incalzare dei turchi, giunti vittoriosi fino in Ungheria e ormai prossimi ad attaccare i possedimenti asburgici nel centro Europa, costringono Carlo V a firmare un accordo che per i francesi è meno svantaggioso del precedente. Così, a Cambrai, il 5 agosto 1529, viene stabilito che la Francia, pur rinunciando alle pretese sull’Italia, può rientrare in possesso della Borgogna. La pace di Cambrai è detta anche “pace delle due dame”, poiché non viene negoziata direttamente dai due sovrani, ma da Luisa di Savoia, madre di Francesco I, e da Margherita d’Austria, zia di Carlo V. Con questo patto la Spagna ribadisce definitivamente il suo dominio sull’Italia, delle cui sorti Carlo V diviene unico e incontrastato arbitro.

L’ultimo atto della guerra della Lega di Cognac fu l’assedio di Firenze. La repubblica fiorentina, costituitasi il 16 maggio 1527 dopo aver scacciato i Medici, si era alleata alla Francia inimicandosi gli imperiali. Clemente VII ottenne da Carlo V per suggellare la ritrovata amicizia dopo il sacco di Roma di rimettere i vecchi signori di Firenze al potere. Così, un’armata asburgica e medicea forte di quasi 40000 uomini assediarono la città difesa da solamente 21000 armati, non tutti professionisti. Dopo un assedio di logoramento e con i difensori ridotti di numero, Firenze di arrese l’8 agosto del 1530 dopo aver concordato delle condizioni onorevoli, anche per intercessione di Malatesta Baglioni, successivamente considerato un traditore della causa repubblicana.

L’inizio della terza decade del ‘500 sembra segnare un periodo di relativa quiete nella penisola italiana. Ma i delicati equilibri tessuti e raggiunti con la pace di Cambrai tra Francesco I e Carlo V si sfalderanno a causa di nuovi accadimenti, i quali vedranno anche l’apparire di un nuovo protagonista nelle vesti del sultano Solimano I alla guida dell’impero ottomano in costante espansione ai danni dei regni cristiani. 

Campagna iscrizioni 23/24

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